La brand reputation oggi è veramente un driver per i consumatori? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Brufani

Secondo una ricerca condotta a livello internazionale da eMarketer, l’83% degli utenti si sentono influenzati da ciò che trovano in rete relativamente a un prodotto, un brand o un personaggio pubblico. Questo dato fa emergere chiaramente l’importanza per le aziende, oggi più che mai, di coltivare una forte brand reputation.

Oggigiorno, tuttavia, è molto più difficile impedire a utenti, competitor e media di danneggiare un’azienda.

Le opinioni, i commenti e le recensioni negative espresse online si propagano sempre più velocemente e con l’utilizzo crescente dei social media le aziende si sono rese ormai conto di come, anche il più piccolo errore, possa distruggere in pochi secondi una reputazione costruita in anni.

Brand success

Ma la brand reputation è realmente un driver per i consumatori?

Per capirlo, abbiamo quindi fatto due chiacchiere con Lorenzo Brufani,  Founder & CEO di Competence CommunicationCo-founder di Cocooners, Digital PR, Social Media & Crisis Communication Trainer alla 24 Ore Business School e Brand Reputation Coordinator per IED.

Come cambia brand reputation oggi

Lorenzo Ferrari: “Quanto è importante la reputazione in relazione ai dipendenti attuali e futuri di una azienda?”

Lorenzo Brufani: “La reputazione è fondamentale per tutti gli stakeholder e io ritengo che i dipendenti dovrebbero essere i primi clienti a cui l’azienda dovrebbe guardare.

Penso che sia fondamentale avere quindi sistemi e procedure che possano gestire la reputazione per i dipendenti, tuttavia sono ancora poche le aziende che dedicano attenzione a questo aspetto e ne sono consapevoli, soprattutto in Italia. Quelle che lo sono maggiormente, infatti, hanno ormai separato la funzione HR da quella della comunicazione interna.

La reputazione deve essere quindi gestita per e con i dipendenti, che sono oggi i primi veri rappresentanti della brand reputation.”

LF: “Anche perché oggi i dipendenti dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti degli ambassador dell’azienda verso l’esterno.”

LB: “Esatto. Però un conto è dirlo, un conto è farlo.

Anche perché troppo spesso le aziende scambiano gli ambassador per delle scimmiette ammaestrate, quando in realtà bisogna rispettarli poiché sono fondamentali per comunicare insieme all’azienda i valori e gli obiettivi.”

Brand Ambassador

LF: “Ma come si possono incentivare i dipendenti a diventare degli ambassador e a veicolare i valori del brand?”

LB: “Sicuramente, per spronare i dipendenti a diventare a tutti gli effetti degli ambasciatori bisogna garantire loro un valore aggiunto e dei benefit. Un altro aspetto fondamentale è la formazione.

Uno dei metodi che potrebbe funzionare meglio per guidare i dipendenti ma al contempo lasciarli liberi è trovare dei luoghi nuovi per far crescere il senso di appartenenza. Un esempio a tal proposito possono essere le community of practice: delle stanze virtuali dove i dipendenti possono ritrovarsi con dei moderatori per discutere di un determinato argomento o creare progetti.

Penso che dare alle persone la possibilità di incontrarsi e confrontarsi durante gli orari di lavoro sia molto importante, soprattutto di questi tempi in cui non c’è più la possibilità di farlo, a causa del Covid, durante la pausa caffè come invece era prima.

Tutto ciò, ovviamente, deve essere supportato da una cultura aziendale maggiormente orientata al feedback.”

Crisis Management
Fonte: Vintage Circle
LF: “Oggi più che mai, la reputazione aziendale è un asset di fondamentale importanza nelle strategie integrate delle aziende. Ma quali sono i rischi maggiori, anche in ambito digitale, dovuti a una cattiva CSR?

LB: “Io credo che la sostenibilità intesa nelle sue tre dimensioni (ambientale, economica e sociale) sia la strategia in questo momento più forte che un’azienda possa attuare per costruire davvero una reputazione concreta e forte.

Con questa premessa, ossia un approccio strategico a tre punte che tiene conto di tutte e le dimensioni della CSR, la brand reputation ne può certamente giovare.

I rischi tuttavia sono diversi. In generale, oggi con i social i rischi a cui é esposta la reputazione delle aziende sono sempre maggiori.

Gli attacchi che si devono fronteggiare sono ormai all’ordine del giorno ma la loro intensità é sempre minore. Ciò significa che sui social si manifesta un maggior numero di crisi che però, dopo non molto tempo, scompaiono.

È sbagliato misurare una crisi in base all’andamento delle vendite in quel preciso momento, piuttosto in base a ciò che le persone pensano nel lungo termine.

Un ulteriore rischio é pensare che oggi le crisi di reputazione siano inevitabili, dato che ormai fanno parte della vita quotidiana dell’azienda.

Di conseguenza, è fondamentale adottare un approccio sempre più “crisis-ready” e non sottovalutare l’effetto a medio/lungo termine. Importante anche monitorare l’umore del personale interno all’organizzazione e guidarlo per uscire intatti dalla crisi senza perdere la fiducia e le relazioni con ciascuno stakeholder.

Oggi, un’azienda senza una gestione efficace della brand reputation é un’azienda che si avvia verso il declino.”

Ascolto
Fonte: Business Notarile
LF: “Quindi, se dovessimo riassumere le misure precauzionali che possono essere prese dai brand nell’interazione sui social per evitare scivoloni, possiamo citare l’ascolto e la coltivazione di relazioni?”

LB: “Esattamente.

Se dovessimo riassumere in fasi, prima che la crisi esploda si è in crisis-ready: in questa situazione é opportuno effettuare attività di monitoraggio e attivare sui social i crisis alert per saperlo prima degli altri.

Ciò è possibile attraverso le piattaforme di web semantic e una SEO strategy che, adoperata in chiave crisis, permetta di controllare le parole chiave su cui si può essere colpiti.

Sempre tenendo conto di un approccio preventivo, è poi necessario decidere le parole da comunicare, il portavoce che dovrà comunicarle e fare un’analisi di scenario che ne comprenda almeno tre: negativo, positivo e neutro.

Queste sono in breve le azioni fondamentali da attuare per prevenire una crisi.”

LF: “La brand reputation oggi è effettivamente un driver che spinge i consumatori a scegliere un marchio piuttosto che un altro?”

LB: “Sicuramente sì, e ciò riguarda la scelta dell’azienda sia da parte dei dipendenti futuri che da parte dei clienti.

Per quanto riguarda i futuri possibili dipendenti, nella decisione emergono due componenti: quella emotiva e quella razionale.

La reputazione dell’azienda si compone a sua volta di queste due dimensioni, tuttavia quella che viene maggiormente presa in considerazione nel momento in cui ci si chiede in quale azienda andare a lavorare é la seconda, dettata a sua volta da ciò che viene percepito dai pubblici esterni.

Anche per quanto riguarda i clienti la reputazione influisce fortemente. Basti pensare al settore bancario in cui si tende a fidarsi di più delle istituzioni che nutrono una solida reputazione.

In tutto ciò, i clienti oggi sono sempre più influenzati da questa componente quando è veicolata dalle persone influenti.”

LF: “Mi riaggancio al tuo esempio sul settore bancario: qualche anno fa emerse sui social un video che mostrava dei pulcini vivi che venivano gettati in massa all’interno di un tritatore. L’ipotesi era che colpevole fosse McDonald’s, che avrebbe prodotto con questa terrificante tecnica i suoi nuggets. Ipotesi ovviamente poi smentita in quanto falsa.
McDoonald's
Fonte: 7 News
Ora, se non erro, non mi pare che la reputazione di McDonald’s ne abbia particolarmente sofferto. La domanda è: quando si parla di questi colossi, quanto la reputazione, se intaccata, può spingere il cliente a scegliere o meno i prodotti di un tale marchio?”

LB: “Dipende. Sicuramente il prezzo in tutto ciò rimane comunque un fattore determinante nella scelta per il cliente.

Basti pensare alla campagna di Greenpeace condotta non troppo tempo fa contro i colossi della fast fashion come Zara: in Italia pochi ne sono a conoscenza e comunque quando una persona deve comprarsi una maglietta e senza spendere tanto dove va? Da Zara o H&M, appunto.

Anche se sembra che questa tendenza stia cambiando e che la sostenibilità e i valori stiano cominciando ad essere sempre più rilevanti agli occhi dei consumatori, il potere di attrazione del prezzo, soprattutto in una cultura come quella Italiana, continua a giocare un ruolo determinante a discapito della reputazione.”

Media Relations
Fonte: Alter Comunicazione Politica
LF: “brand reputation oggi significa anche preparare il management aziendale al dialogo con i media. In quest’etica, quali misure possono essere prese per educare al meglio il top management?”

LB: “La misura che suggerirei per migliorare le relazioni tra queste due parti è non rincorrere più il giornalista, ma diventare l’azienda stessa un media e i manager dei giornalisti.

Le aziende devono essere in grado di trasferire le informazioni nell’ottica dei giornalisti e meno nell’ottica del commerciale.
Il management deve lavorare con i media, aiutando i giornalisti a trovare e costruire le notizie e parlando la loro stessa lingua.

Questa è la chiave che dovrà portare a una nuova era delle media relations, che non è più concentrata nell’ufficio stampa.”

Conclusioni

Oggi, la brand reputation è diventata a tutti gli effetti un aspetto impossibile da sottovalutare da parte delle aziende, le quali devono curarla attraverso il rafforzamento delle relazioni con gli stakeholder e il coinvolgimento dei dipendenti.

La sua importanza, inoltre, è stata più volte sottolineata con il verificarsi della pandemia, che ha spinto a sviluppare capacità di reazione di gran lunga maggiori rispetto a prima.

L’intervista fatta a Lorenzo si chiude da sola, esattamente come un cerchio, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato è che per coltivare una solida brand reputation bisogna focalizzarsi su ciò da cui tutto inizia: le persone.

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