Il termine inglese flop si utilizza per intendere un fallimento. In particolare si riferisce a prodotti, come film, alimenti o oggetti, che a seguito della loro introduzione nel mercato, non hanno rispettato le aspettative, dimostrandosi dei veri e propri insuccessi.
Nel commercio mondiale non mancano di certo casi in cui le novità presentate si siano rivelate poco apprezzate dal pubblico e diversi esempi di flop si riscontrano particolarmente nel settore food, come le lasagne firmate Colgate.
Casi come questo si verificano quando l’azienda decide di attuare strategie di Brand Extension, ovvero di inserirsi in un nuovo mercato, dove prima non aveva un posizionamento.
L’“estensione” può essere:
- di linea: prodotto con caratteristiche diverse rispetto al principale;
- di categoria: prodotto appartenente a una categoria merceologica differente dal prodotto madre.
Le imprese che intraprendono scelte simili, lo fanno principalmente per ampliare la gamma di prodotti offerti, per rivolgersi ad un target più ampio, come Gucci, che ha lanciato la Pet Collection, dedicata agli amici a quattro zampe.
Se ben strutturata e progettata, la novità può portare a quello che viene definito Halo Effect, fenomeno per il quale il consumatore percepisce a priori il valore del nuovo prodotto, in quanto già fidelizzato alle caratteristiche originarie dell’azienda.
Un po’ come è successo con Nutella, Barilla e Nivea, che hanno introdotto negli anni, nuovi alimenti e articoli molto apprezzati.
Tuttavia, non sempre nuovo è sinonimo di successo e può capitare che il pubblico non accetti il lancio di determinati prodotti, considerati quindi veri e propri fallimenti.
L’insuccesso dei brand
Capita più spesso di quanto si possa immaginare, che aziende grandi e piccole, commettano qualche errore di valutazione. In Svezia è nato addirittura un museo dedicato ai brand flop che hanno riscosso maggior successo nella storia: è il Museum of Failure.
Vediamone qui alcuni nel dettaglio.
Bic for Her: una penna per sole donne
L’azienda francese Bic, nota per la produzione di materiale da cancelleria come la famosissima penna a sfera, nel 2011 ha lanciato una linea per sole donne.
La collezione For Her “progettata per stare bene tra le mani di una signora“, come si legge nella descrizione del prodotto, non è piaciuta al pubblico femminile.
Il prodotto, infatti, non risultava diverso in nessun modo da quello classico e la novità stava solo nei colori e nell’aggiunta di qualche brillantino.
Crystal Pepsi: la Cola trasparente
Nel 1992 l’azienda statunitense PepsiCo ha introdotto Crystal Pepsi, promettendo di offrire il classico gusto della famosa Cola, ma senza colore, trasparente.
Il prodotto è stato ritirato dal mercato l’anno successivo, pur ricomparendo nel 2016 per un tempo limitato, solo in Canada e negli Stati Uniti.
Zippo: dall’accendino al profumo
Zippo, la famosa marca di accendini, ha tentato di inserirsi anche nel mercato della profumeria, producendo una fragranza per sole donne.
Purtroppo, però, la scelta di un settore completamente diverso e il packaging troppo simile all’iconico accendino, hanno portato l’azienda ad un flop totale.
Sanpellegrino sfida Coca-Cola (e perde)
“Nata in Italia, come tutti noi” recitava il voice over del lancio della One O One, l’alternativa italiana alla Coca-Cola, firmata Sanpellegrino, apparsa per la prima volta nel 1987.
Tuttavia, neanche i 20 miliardi di lire investiti in pubblicità e spot tv sono serviti a spodestare il monopolio del colosso americano e, infatti, il prodotto è stato ritirato dal mercato, anche a seguito del processo per alterazione della libera concorrenza che ha visto scontrarsi le due aziende.
Heinz e il ketchup colorato
Siamo nel 2000 e Heinz la società agroalimentare statunitense famosa per il suo ketchup, lancia un’alternativa colorata al suo best seller: l’EZ Squirt.
Il progetto nasce in occasione dell’uscita nelle sale del film di animazione Shrek, con un primo test di salsa di colore verde, seguito poi da altre tre colorazioni.
Dopo una prima fase di successo, i consumatori hanno iniziato a chiedersi come fosse possibile ottenere la classica ricetta, ma in colori diversi e le troppe sostanze chimiche all’interno del prodotto hanno costretto l’azienda a ritirarla dal mercato.
Non solo prodotto, anche immagine
Il fallimento, in alcuni casi, non è legato all’articolo in sé, quanto al visual.
È il caso di Gap e Tropicana: due aziende che durante gli anni hanno deciso di rinnovarsi e attuare strategie di re-branding che non hanno riscosso tanto successo.
Per Tropicana, azienda di proprietà della PepsiCo, l’insuccesso si è scatenato dal cambio di stile e immagine del brand: i consumatori, infatti, affezionati al prodotto originale, hanno mostrato insoddisfazione rispetto al cambiamento, tanto da spingere il marchio a tornare a packaging e logo iniziali.
Gap, invece, per attualizzare la propria immagine e dare un tocco di novità, ha tentato nel 2010 di rinnovarsi da un punto di vista grafico, proponendo un nuovo logo, in sostituzione a quello ventennale.
L’effetto sul pubblico però si è rivelato insoddisfacente: i consumatori non hanno apprezzato il cambio di font e la totale “rivoluzione” del visual e l’azienda si è vista quindi costretta a tornare alle origini, dopo 6 giorni e una spesa di 100 milioni di dollari.
Cosa ci insegna tutto questo? Gli errori capitano, anche ai big.
Ma il marketing è anche questo!
Il fail può rivelarsi un buon metro di valutazione per analizzare la propria azienda e il modo in cui viene percepita e lavorare di conseguenza per articolare maggiormente la propria Brand Identity.
Come abbiamo visto, introdurre nuovi prodotti nel mercato, a volte anche distanti dalla propria linea merceologica, è una sfida: non sempre il pubblico accoglie pienamente la proposta.
Casi come questi di brand fail restano un ottimo metro di paragone per mettere alla prova l’identità del proprio brand, e adattare la propria strategia sulla risposta da parte dei clienti.