Greenwashing: il finto ambientalismo di facciata

Nel settore della comunicazione è capitato che alcune aziende e brand venissero accusati di fare greenwashing.

Ma che cos’è e come si può riconoscere questa pratica?

In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente – che si celebra, ogni anno il 5 giugno, dal 1974, con lo slogan Only One Earth – è più importante che mai sottolineare quanto la consapevolezza ambientale sia fondamentale.

Alcune aziende sfruttano le tendenze eco-compatibili per rafforzare la propria immagine senza però realmente attuare pratiche sostenibili. Si tratta di trovate pubblicitarie per attirare clienti, che però si rivelano promesse vane e si scontrano di gran lunga con le reali iniziative di green marketing.

Che cos’è il greenwashing?

Il termine è un neologismo inglese, traducibile con ecologismo di facciata o falso ambientalismo. Indica una strategia di comunicazione finalizzata a creare un’immagine di sé ingannevole e positiva sotto il profilo ambientalista.

Si tratta in sintesi di una pratica di marketing per cui un’azienda esagera o afferma falsamente di seguire pratiche eco-friendly per capitalizzare sulla crescente domanda di prodotti sostenibili.

Il greenwashing può comportare pubblicità ingannevole, false etichette o altri sforzi per creare un’immagine ambientale positiva senza un corrispondente impegno verso pratiche sostenibili.

 

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Fonte: squarespace

 

Questa tecnica di comunicazione non è coadiuvata dal reale impegno aziendale per rispettare le promesse al consumatore e, molte volte, è utilizzata per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti delle proprie attività che sono negative  per l’ambiente.

Il termine viene introdotto negli anni ’70 e prende ispirazione dal whitewashing, che significa imbiancare e, in un significato più ampio, nascondere. La parola è stata poi declinata nello specifico per andare a descrivere situazioni in cui le aziende intendono appunto nascondere dietro a messaggi pieni di false promesse pratiche poco etiche: si parla così di pinkwashing, rainbowashing e anche purplewashing.

Nel 1986 viene usato il termine greenwashing per la prima volta da Jay Westerveld per smascherare i messaggi ambientalisti delle catene alberghiere che invitavano i clienti a non sostituire gli asciugamani se non fosse stato necessario, perché i continui lavaggi avrebbero comportato un grosso impatto ambientale. Era realmente questa la ragione che stava loro a cuore? No. Si trattava di meri interessi economici.

Tipologie di greenwashing

Un’analisi condotta da Planet Tracker identifica 6 tipi di greenwashing:

  • Greencrowding. Quando un’azienda aderisce a un gruppo o a un’associazione per beneficiare, a livello di immagine, della forza dei risultati del gruppo stesso.
  • Greenlighting. Si verifica quando le comunicazioni aziendali mettono in luce una caratteristica particolarmente ecologica dei prodotti per distogliere l’attenzione dalle attività dannose condotte.
  • Greenshifting. Il caso in cui le imprese spostano la responsabilità delle azioni dannose per l’ambiente sui consumatori.
  • Greenlabelling. Una pratica in cui i professionisti del marketing chiamano un prodotto o un servizio utilizzando termini che rimandano al “green” ma si tratta in sostanza di affermazioni fuorvianti.
  • Greenrinsing. Si riferisce a situazioni in cui un’azienda modifica regolarmente i propri obiettivi ESG prima che vengano raggiunti.
  • Greenhushing. Il management aziendale sottostima i rapporti o nasconde le proprie credenziali di sostenibilità per eludere il controllo degli investitori.

Il finto ambientalismo

Il greenwashing è stato definito in maniera ancora più chiara come:

«Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente» – Valentina Furlanetto, L’industria della carità.

In Italia, fino al 2014 circa, non esistevano leggi contro il greenwashing, ma solamente contro la pubblicità ingannevole.

Ora, si prendono tutti gli accorgimenti del caso per combattere questa pratica che, oltre a essere ingannevole, è estremamente pericolosa dato il momento storico che incoraggia lo sviluppo di una reale economia sostenibile.

Il rispetto per l’ambiente è una necessità, non può essere un mero strumento di marketing. Di ciò si occupa l’Autorità Garante della Concorrenza di Mercato che impedisce il diffondersi di messaggi ingannevoli per il consumatore.

La Commissione Europea ha effettuato varie indagini su persone appartenenti agli stati membri, notando molta confusione sulle tematiche ambientali. Un motivo che rende i consumatori ancora molto scettici, sebbene desiderosi di comprare prodotti eco-compatibili.

Inoltre, la Commissione ha valutato l’ipotesi di tutelare il prossimo con leggi e normative che impediscano alle aziende di attuare pratiche di greenwashing e per combattere la strumentalizzazione dell’impegno ecologico di facciata.

A novembre 2022 il Consiglio Europeo ha approvato la Corporate Sustainability Reporting Directive, la direttiva che obbliga le grandi imprese europee a rendere pubblici i dati su come il loro modello di business impatta l’ambiente e le persone.

Negli Stati Uniti la Federal Trade Commission  ha introdotto le Green Guides, una serie di linee guida per aiutare le aziende a evitare dichiarazioni ecologiche ingannevoli. In particolare richiedono che le affermazioni ambientali siano supportate da prove scientifiche e che non siano vaghe o generiche.

Esempi di greenwashing

Uno dei casi più eclatanti di greenwashing è il Dieselgate, lo scandalo che nel 2015 ha coinvolto Volkswagen. L’azienda automobilistica tedesca pubblicizzava i suoi veicoli diesel come eco-friendly, mentre in realtà i motori erano programmati per falsificare i test sulle emissioni.

Nestlé, invece, per il lancio della linea Pure Life ha etichettato la sua acqua in bottiglia come un prodotto eco-sostenibile grazie al packaging “ridotto”. Tuttavia, questa tattica di marketing nascondeva dietro agli evidenti colori verdi e messaggi promettenti, un significativo inquinamento di plastica.

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Fonte: startwithsustainability

Anche la Conscious Collection di H&M è spesso citata come un esempio di greenwashing. La collezione, commercializzata come sostenibile ed ecologica, si scontra con le reali pratiche di fast fashion, che producono abiti attraverso metodi ad alta intensità di risorse.

Pure Colgate non è sfuggita alla finta sostenibilità in occasione del lancio del dentifricio Vegan smile for good. L’azienda, infatti, ha promosso il prodotto come privo da qualsiasi derivato animale, senza però dichiararsi cruelty-free. Il risultato? Ha lanciato sul mercato un prodotto che, seppur mascherato come rispettoso degli animali, accetta le pratiche di test sulle cavie.

Di greenwashing ne sa qualcosa anche ENI, che a fine 2021 ha ricevuto una sanzione per pubblicità ingannevole. Incriminato, lo spot pubblicitario del carburante ENIdiesel+, che descriveva il prodotto come biologico, verde, sostenibile. Al contrario, invece, non aveva nessuna di queste caratteristiche.

Anche Coca Cola è rimasta coinvolta in situazioni simili, accusata dall’organizzazione Earth Island Institute che ha puntato il dito contro due dei suoi claim di comunicazione: World without waste e Every bottle back.

È emerso infatti, dalle indagini condotte, che non solo l’azienda è stata nominata per diverse volte da Greenpeace impresa più inquinante a livello globale per la produzione di plastica, ma che solo il 30% delle bottiglie è realmente riciclabile.

In questi esempi, le strategie di marketing delle aziende creano un’impressione fuorviante di responsabilità ambientale, sottolineando la necessità per i consumatori di valutare e mettere in discussione in modo critico l’autenticità delle dichiarazioni di sostenibilità.

Rischi e conseguenze del greenwashing

Attuare una produzione sostenibile è molto difficile nonché oneroso per le aziende, molto più facile è solamente comunicarlo. Questa pratica, però, è dannosa per una miriade di motivazioni, tra cui:

  • Non impegno reale delle aziende e conseguente aumento dell’impatto ambientale delle loro produzioni o attività.
  • Informazioni errate al cliente che si fida di ciò che viene detto ma non sa realmente cosa sta acquistando.
  • Perdita di fiducia da parte del consumatore una volta che il greenwashing viene smascherato.

Con il tentativo di ingraziarsi l’opinione pubblica, il vero risultato può essere un effetto boomerang dannosissimo per l’immagine aziendale e la conseguente perdita di fiducia da parte dei consumatori, che metteranno in discussione tutte le comunicazioni successive allo scandalo.

Lo scopo dei brand, infatti, dovrebbe essere quello di dare un’immagine positiva di sé utilizzando una comunicazione trasparente ed eliminando il più possibile il gap tra quanto viene detto e la situazione reale.

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Fonte: easyecotips

Come smascherare il falso ambientalismo

Per riconoscere il greenwashing, è importante prestare attenzione a:

  • Dichiarazioni vaghe: termini come naturale, green, eco-friendly senza spiegazioni specifiche sono segnali di allarme.
  • Mancanza di prove: verifica se l’azienda fornisce dati concreti e certificazioni indipendenti a supporto delle sue affermazioni.
  • Conflitti tra dichiarazioni e azioni: un’azienda che fa grandi dichiarazioni ecologiche ma continua a utilizzare pratiche inquinanti è probabilmente coinvolta nel greenwashing.

Purtroppo le aziende che fanno uso di questa pratica sono molte, ma i consumatori stanno diventando sempre più consapevoli e gli enti competenti monitorano costantemente la situazione.

Nel panorama della responsabilità aziendale, individuare esempi di finto ambientalismo è fondamentale. Il greenwashing è una pratica che mina la fiducia dei consumatori e ostacola gli sforzi globali per la sostenibilità.

Essere consapevoli di queste tattiche e promuovere una maggiore trasparenza e responsabilità è fondamentale per fare scelte informate. Le aziende devono comprendere che una reale filiera green non si costruisce solo con il marketing, ma con azioni concrete e misurabili. Così facendo, non solo evitano sanzioni legali, ma guadagnano anche la fiducia e la lealtà dei loro clienti, contribuendo a un futuro più verde per tutti.

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