Le emozioni sono ampiamente usate in pubblicità. Si parla spesso dello humor di Taffo, dell’amore di Müller o del calore umano di Barilla, ma troppo spesso vengono scordate le emozioni negative. Odio, disgusto, colpa, vergogna, se calibrate, sono perfette per veicolare specifici messaggi. In particolare, ansia e paura sono coinvolte in molte campagne, non solo in quelle sociali.
Fear arousing communication: ansia e paura
Gli spot generano ansia e paura negli spettatori per coinvolgerli e far sì che il messaggio non sia ignorato ma, anzi, venga elaborato e ricordato con più facilità. È importante, però, saper suscitare il giusto livello di ansia affinché lo spot sia efficace.
La fear arousing communication, per riuscire in questa missione, prevede solitamente:
- una componente ansiosa, ovvero una minaccia al sè fisico o sociale;
- una soluzione facile e tangibile utile per allontanare la minaccia.
Sembra complesso, ma in realtà questa tecnica è utilizzata in moltissime pubblicità che vanno in onda quotidianamente in tv. Basta pensare, ad esempio, agli spot di Save the Children in cui prima vengono mostrate le condizioni a cui sono costretti i bambini nel terzo mondo e, poi, appare un numero di telefono o le modalità di donazione, utili a rassicurare lo spettatore e indurlo all’azione. Per dirlo in altre parole, lo spettatore è dapprima portato a vivere emozioni forti e, nel momento di massimo coinvolgimento, gli viene presentata un’informazione confortante, tranquillizzante e risolutiva.
Diversi tipi di minaccia per suscitare ansia
Una minaccia genera una risposta efficace e immediata. È contemplata sia per la propaganda sociale che in quella commerciale e può essere di tre tipi:
- minaccia al sé fisico;
- minaccia al sé sociale;
- minaccia al sé morale.
Nota tanto banale quanto fondamentale, la minaccia deve essere introdotta e presentata nello spot in modo adeguato rispetto al target che deve colpire. Ad esempio, se si rivolge ai teenager fumatori, è bene coinvolgerli in modo diretto affinché si sentano immediatamente tirati in causa e attirare la loro attenzione con elementi visivi mirati o attraverso le parole: “Non sei maggiorenne, ma già fumi?”.
Per mettere a segno il messaggio e comunicare con un livello di ansia adeguato al target è bene eseguire un copy testing, ovvero fare un’indagine qualitativa per testare lo spot pubblicitario su un piccolo campione rappresentativo.
Minaccia al sé fisico
La minaccia al sé fisico è facilmente applicabile nella propaganda sociale relativa alla sicurezza e alla salute dei singoli cittadini, come nelle campagne di sensibilizzazione sui danni provocati da alcol e fumo. Tuttavia, può essere anche interpretata in spot di brand che si occupano di salute e sicurezza: assicurazioni, produttori di airbag, igiene personale.
Un esempio palese di minaccia al sé fisico lo troviamo nella campagna di educazione e informazione sanitaria contro l’AIDS commissionata nel 1990 dal Ministero della Sanità. Lo slogan, il leit-motiv, della campagna è:
AIDS. Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide.
Nonostante questo spot oggi possa apparire grossolano e semplicistico, sono facilmente identificabili le due componenti della fear arousing communication descritte in precedenza: gli elementi di paura e le soluzioni rassicuranti. I primi sono i luoghi e i modi in cui è possibile contrarre l’AIDS: scambio di siringhe e rapporti sessuali occasionali. Le seconde, invece, sono l’informazione e le azioni volte a evitare la contrazione del virus come, ad esempio, l’utilizzo del preservativo.
Non mancano curiosità riguardanti questa campagna.
- Per l’occasione sono state coinvolte tre agenzie pubblicitarie, ma la A. Testa si è aggiudicata la fetta maggiore. Dodici miliardi di lire, per l’esattezza;
- Aveva lo scopo di informare la più vasta opinione pubblica con spot televisivi e radiofonici, inserti sui giornali quotidiani, filmati, settimanali, riviste, manifesti;
- Nella pubblicità figura la parola “preservativo” che fino a quel momento era considerata tabù. Marco Testa ha dichiarato che inizialmente volevano dire “profilattico”, ma alla fine hanno optato per “preservativo” perché più facilmente comprensibile dai più giovani.
Minaccia al sé sociale
In alcuni casi, la minaccia al sé sociale può essere usata come alternativa alla minaccia al sé fisico. La campagna contro il tabacco lasciata in Francia dall’associazione DNF (Non-Smoking Rights) nel 2010 ne è un esempio.
Per uno spot anti tabacco, la prima cosa che viene in mente è: “non fumare, ti fa male, ti verranno malattie, morirai giovane…”. Tuttavia, non è affatto detto che questo messaggio arrivi al destinatario, specialmente se il target di riferimento sono i giovani tra i 15 e i 25 anni il cui unico mantra è “YOLO” (you only live once).
DNF ha capito che per far funzionare la campagna doveva sostituire la minaccia fisica con quella sociale. I giovani, infatti, sono spesso più interessati all’indipendenza e alla libertà che alla propria salute. Le sigarette, quindi, anche grazie a campagne come “The Malboro Man” di Leo Burnett, vengono associate e talvolta incarnano questi valori.
Ecco allora che DNF stravolge le carte in gioco rappresentando delle scene di abuso. Nelle immagini l’uomo aggressore, di cui vediamo solo gli elementi essenziali per comprenderne il ruolo, rappresenta l’industria del tabacco; mentre i ragazzi, inginocchiati, subiscono la violenza. Il messaggio è forte e chiaro: il fumo non è emancipazione ma sottomissione e dipendenza.
La campagna ha generaro molto rumore sia perché è dirompente e scioccante, sia a causa delle critiche ricevute per via del parallelismo con l’abuso sessuale considerato inappropriato da molti.
Minaccia al sé morale
Per ultima, ma non per importanza, c’è la minaccia al sé morale che è stata rappresentata in una print campaign creata dalla BBH London per la St John Ambulance, ente di beneficenza del Regno Unito.
Il messaggio della campagna fa leva su un valore morale insito in ognuno: bisogna salvare ogni vita umana, con ogni mezzo possibile:
You can be the difference between life. And death. To find out how search “life saved”.
La St. John Ambulance sostiene che troppe persone muoiono inutilmente per mala informazione e scarsa conoscenza sulle azioni di primo soccorso da mettere in atto in caso di incidente. Come si legge dal testo in foto, infatti, la bambina è morta a causa di un chicco d’uva che le è rimasto incastrato in gola e nessuno ha saputo che cosa fare. Ecco quindi che l’ente di beneficenza, dopo aver mostrato l’elemento ansiogeno, tranquillizza gli spettatori dicendo che basta telefonare e prenotare un corso di primo soccorso per evitare di trovarsi impreparati.
Criticità dell’ansia in pubblicità
Negli spot le minacce – un pò come quando i genitori le rivolgono ai bambini – hanno un ottimo riscontro nel breve-medio termine, ma perdono di efficacia nel lungo termine. Perciò, se il brand o l’ente vuole creare un rapporto fiduciario duraturo non può contare solo su una pubblicità scioccante, ma deve considerarla solo come elemento di innesco che dovrà poi essere alimentato attraverso altri canali.
Inoltre, è sempre importante tenere a mente che generare emozioni porta sia benefici che rischi. Infatti, quando i consumatori si emozionano:
- elaborano con più facilità il messaggio pubblicitario;
- creano un legame empatico e abbattono le difese razionali;
- ricordano meglio lo spot e, quindi, il messaggio dello stesso.
Questo è, dunque, tutto quello a cui mirano i pubblicitari quando creano gli spot. Tuttavia, è tutto bellissimo finché non si esagera, soprattutto se si tratta di emozioni negative. L’ansia è l’emozione giusta, come dimostrano gli esempi sopracitati, per far arrivare al cuore delle persone messaggi importanti. In ogni caso, è importante stare entro i limiti accettati dal proprio target e non suscitare eccessiva paura, rifiuto o nervosismo che, ovviamente, sarebbero dannosi e controproducenti.