Mozzarella che fila perfettamente dalla pizza appena ne viene staccato un pezzo, una montagna di pancakes grondanti di sciroppo d’acero, della spumosa panna montata o un hamburger succoso pronto per essere addentato: queste sono solo alcune tra le immagini più comuni che vediamo quando ci troviamo di fronte a una pubblicità di una catena di fast food o anche più semplicemente del ristorante dietro l’angolo.
Il modo in cui il cibo viene rappresentato nelle campagne pubblicitarie è il risultato di uno studio su come il nostro cervello risponde agli stimoli visivi e su cosa riesce più facilmente a farci venire l’acquolina, rendendoci più disposti all’acquisto. Nel corso degli anni però le immagini presenti negli spot televisivi e sulle confezioni dei prodotti hanno subito dei grandi cambiamenti.
Dagli anni ’60 ad oggi
Negli anni ’60 e ’70 il prodotto alimentare era il protagonista delle pubblicità, che si occupavano principalmente di risaltarne le caratteristiche estetiche. Questa strategia avrebbe ceduto presto il posto al corporate storytelling, le pubblicità iniziano quindi a raccontare la storia del prodotto e dell’azienda.
Sono questi gli anni di spot emblematici come quello del primo Cornetto Algida che utilizza una storia d’amore per descrivere l’esperienza che il consumatore vive mangiando un cornetto, facendo terminare lo spot con un lieto fine, con l’incontro tra i due innamorati così come il Cornetto termina nella sua punta di cioccolato.
Negli anni successivi la tv italiana si fa promotrice di alcuni messaggi che accompagnano ancora oggi i prodotti di aziende come Barilla e Mulino Bianco. Temi come i sapori di una volta o il richiamo a un legame con la natura quasi bucolico sono ricorrenti nelle pubblicità dei prodotti di queste aziende.
Proprio gli spot della Mulino Bianco, a partire dagli anni ’90 con “La famiglia del Mulino e la Natura in città” fino ad arrivare al 2012 con Antonio e Rosita ed Emma e Giovanni, incarnano perfettamente questi messaggi contribuendo alla rappresentazione di un prodotto di qualità e che incarna i valori della tradizione.
Contemporaneamente, negli ultimi 10 anni, ha iniziato a farsi strada un trend che è cresciuto in particolare grazie a piattaforme come Facebook e Twitter, ma soprattutto ai social basati sulle immagini come Pinterest e Instagram: il #foodporn.
La parola “food” si riferisce al contenuto stesso dell’immagine mentre la parola “porn” indica il modo in cui l’immagine si pone nei confronti dello spettatore. Questo trend non si limita alla foto di un panino abbondantemente farcito: nel #foodporn l’immagine deve suscitare precise emozioni e reazioni successive alla sua percezione.
Le origini di questo trend risalgono al 1957 quando il critico francese Roland Barthes parlò di “cucina ornamentale”. In quegli anni il giornale Elle pubblicava una “pura cucina della vista”, fotografie di cibi messi in posa così da essere esteticamente appaganti. Il cibo diviene quindi parte di una realtà desiderata ma artificiosa e si apre il divario tra il cibo che vediamo servito sulle nostre tavole e quello decorativo e idealizzato della pubblicità.
Inoltre, mangiare un prodotto altamente calorico solitamente stimola il rilascio di dopamina e attiva i centri del piacere del nostro cervello. Proprio i contenuti che stimolano sensazioni piacevoli hanno più probabilità di diventare virali sui social ed è per questo che il foodporn è diventato un ottimo strumento di visual marketing che può venire usato dall’imprenditore ma anche dal consumatore.
#foodporn e marketing
Se vengono sommati i quattro hashtag più usati nel mondo food cioè: #food, #foodporn, #foodphotography e #foodie si raggiungono più di un miliardo di post. Il cliente quindi condivide sempre di più il proprio pasto non solo per comunicare l’esperienza positiva che sta vivendo o la sensazione di benessere che prova mentre è seduto a tavola, ma anche per un bisogno di affermazione sociale.
Nei post di questo tipo inoltre è molto frequente che il ristorante sia taggato e il risultato è un ritorno di visibilità completamente gratuito per il ristoratore. I contenuti prodotti dai clienti sono sempre nuovi e autentici e possono essere incentivati tramite l’uso di hashtag personalizzati o fornendo degli Instagram kit per migliorare la qualità delle foto e aumentare il numero di likes come ha fatto il Dirty Bones di Londra.
Questi hashtag non hanno aiutato solo la crescita di ristoranti e food blogger ma spesso hanno anche cambiato la percezione che abbiamo del cibo e il modo in cui lo consumiamo. La colazione si è trasformata da essere composta solo da latte e biscotti ad essere un fotogenico toast con l’avocado (#avocadotoast conta un milione di post su Instagram).
Instagram è diventato così il regno dei frappè al gusto “unicorno” e delle coloratissime budda bowl, cibo che in una sola parola può definirsi instagrammabile: fotogenico, colorato, esteticamente accattivante anche se probabilmente impossibile da mangiare. Ne è un esempio il CheeseBomb del ristorante Maxwell di Londra: un hamburger immerso nella fonduta di formaggio che è subito diventato il piatto più fotografato e condiviso del ristorante.
Il consumatore odierno cerca quindi non solo cibo di qualità ma anche un piatto che sia attraente e condivisibile. Questa tendenza non ha colpito solamente i ristoranti e le catene di fast food ma anche supermercati e chef pluristellati. Ed è così che le uova blu sono comparse negli scaffali della nota catena di supermercati britannica Sainsbury’s, ottenute grazie all’uso di una gallina particolare che produce uova dal guscio azzurro. Anche lo chef pluristellato Alain Ducasse, tre stelle Michelin, ha dichiarato:
“La cucina è una festa per gli occhi e ho capito che i nostri ospiti desiderano condividere queste emozioni attraverso i social.”
Come rendere il food ‘porn’ grazie al neuromarketing
Il neuromarketing non può trasformare radicalmente un prodotto, il consumatore riesce comunque a percepire se questo è di scarsa qualità, ma può migliorare l’esperienza di prodotti che hanno già di per sé buone caratteristiche. Il 50% del nostro cervello è designato alla visione e solo l’1% al gusto. Alcuni elementi visivi possono quindi alterare la nostra percezione gustativa e condizionare di conseguenza le scelte di acquisto.
Se si vuole postare un’immagine #foodporn si devono adottare alcuni accorgimenti suggeriti proprio dallo studio di come il nostro cervello risponde agli stimoli visivi riguardanti il cibo:
- I colori devono essere caldi: rosso, giallo e marrone sono i colori che richiamano la cottura, un processo fondamentale per preparare i pasti più comuni. A questi colori si aggiunge il verde che è invece associato ai cibi freschi e naturali. Il colore dello sfondo deve essere neutrale, preferibilmente bianco, così da far risaltare maggiormente i colori del cibo che spesso sono resi più vividi tramite coloranti;
- Molto importante è anche il colore del packaging: una birra con etichetta giallo-verde viene percepita come più luminosa e invitante rispetto a una con confezione tendente al marrone o al rosso;
- Attenzione alle stoviglie scelte: diversi esperimenti hanno dimostrato che una torta al cioccolato servita su un piatto bianco viene percepita come più dolce rispetto allo stesso dessert presentato su un piatto nero. Un caffè bevuto in una tazza di ceramica bianca viene identificato come più intenso dello stesso prodotto bevuto da una tazza di vetro trasparente;
- L’alimento #foodporn deve essere in posizione centrale, in primo piano o anche con un close-up particolare, la vicinanza infatti viene percepita come più invitante;
- Gli spot preferiti sono quello con uno stile moderno, riprese dinamiche e musica electro-lounge che rendono lo spot divertente;
- Dal punto di vista culturale, il consumatore tende a preferire i cibi che conosce quindi, per stuzzicare, devono essere preparati in maniera tradizionale ed essere facilmente riconoscibili. Prima di preparare un spot bisogna studiare il proprio target, capire a cosa è abituato e quali sono i cibi della sua tradizione;
- L’angolo perfetto per una foto che sia #foodporn dipende dal tipo di cibo, solitamente i piatti vengono fotografati da in alto così da poter vedere tutti gli elementi che lo compongono, ma per qualcosa come un sandwich o un hamburger è preferibile una prospettiva laterale.
Il contro-trend: #darkcuisine
In un mondo in cui il cibo che vediamo fotografato è sempre bello e perfetto, pubblicare foto di ugly food, ovvero cibo brutto, su Instagram è una vera dichiarazione di intenti: la vita di tutti i giorni è fatta anche di cene improvvisate, pranzi a lavoro che dopo essere stati riscaldati al microonde non sono né belli né buoni o di weekend passati con una pizza da asporto davanti a Netflix. Viene riportata così sui social una autenticità che era scomparsa con il #foodporn. Ma l’ugly food non risponde solo alla mancanza di autenticità.
Il #foodporn è un tipo di cibo spesso esagerato e che porta per questo a uno spreco alimentare. Non si tratta solo di #foodporn, i consumatori infatti sono spesso abituati a cibo perfetto, basti pensare che ogni anno vengono scartati circa cinquanta milioni di tonnellate di prodotti agricoli solo perché non rispecchiano certi standard di forma e dimensioni.
L’ugly food celebra frutta e verdura non perfette, magari leggermente ammaccate ma ugualmente buone, che spesso vengono buttate dagli agricoltori perché storicamente evitate dai compratori. Questo contro-trend racchiude ricette casalinghe, piatti belli ma fotografati non bene, oppure prodotti appena raccolti dalla terra e ancora da lavare.
Ecco così spiegato il successo di pagine come @zerosbattiincucina o @schiscettebrutte che mostrano un catalogo divertente di classici salva cena, cibo da fuorisede, tonno in scatola e dei peggiori pranzi da portare a scuola o al lavoro.
Cercando poi l’hashtag #darkcusine su Instagram ci si trova davanti una serie di immagini quasi ripugnanti ma che spesso raffigurano pasti della tradizione e che, per quanto poco invitanti, sono delle vere delizie della cucina italiana. Postare foto di cibo brutto non è solo una sfida al gusto estetico, ma spesso va contro anche ad un altro trend: quello del cibo light, salutare o biologico. Per quanto sia importante seguire una dieta sana e regolare, spesso sui social si arriva quasi a demonizzare lo strappo alla regola. Le aziende si vedono così costrette a inventare versioni light o biologiche dei loro prodotti più per marketing che per una differenza sostanziale con i prodotti tradizionali.
Pubblicare foto della propria cena takeaway o del junk food è una trasgressione e allo stesso tempo un invito alla spontaneità in mezzo ai feed di cibo fit e proteico.
Da mangiare con gli occhi
Durante la pandemia il numero di ore passate sui social media è aumentato notevolmente. Questo ha cambiato il modo in cui le persone sono state esposte al cibo e il modo in cui questo è stato consumato. L’impatto che il #foodporn e in generale le immagini di cibo proposte dai social hanno avuto sulla nostra vita è stato amplificato. Questo trend dice molto anche sullo stile di vita che assumiamo. Non è di certo un caso se il Paese più attendo alla salute, i Paesi Bassi, ha il maggior numero di hashtag come #fitness e #eatclean.
Questa breve analisi rende evidente come, soprattutto negli ultimi anni, l’aspetto estetico del cibo proposto è diventato una caratteristica a cui prestare particolare attenzione e che può influenzare in maniera sostanziale il successo di una catena di ristorazione o di un’app di food delivery.
È importante però non dimenticare, in una campagna di promozione del prodotto, la necessità di gestire due campagne con finalità differenti: una di tipo puramente commerciale, con un ampio uso di #foodporn, e una invece rivolta a fare branding, mostrando la storia e le caratteristiche che rendono unico e distinguibile il brand.
Questa potrebbe infatti essere la strategia migliore per approcciare nuovi clienti grazie all’estetica accattivante, ma contemporaneamente offrire un valore aggiunto che porterà il cliente a fidelizzarsi.