Private Label, da supermercato a industria

Spesso ci si ritrova a snobbare una semplicissima brioche alla crema di nocciola, solo per il fatto che non si tratta dell’insostituibile Nutella, questo perché il sapore non è lo stesso e gli ingredienti nemmeno. Ma come si fa a sapere che l’anonima crema di nocciole non-Nutella non abbia una qualità maggiore e perché no, magari essere anche più buona?

Se non si è a conoscenza di queste informazioni, forse si tratta di un prodotto Private Label, senza marca, o meglio, con poca notorietà.

Brand Leaders VS “sottomarche”

Quasi tutte le maggiori catene distributive europee presentano sui propri scaffali una grossa varietà di prodotti a marchio. Ciò si verifica sia all’interno di supermercati come Conad, Esselunga, Lidl e molti altri, sia tra aziende come Decathlon o IKEA, dando prova della propria validità in quanto strategia di aumento della marginalità e di fidelizzazione del cliente.

Nella percezione dei consumatori il Private Label viene identificato come un equivalente economico del prodotto di marca, ma non è esattamente così. Per smentire questa comune convinzione, come prima cosa è necessario analizzare come e perché una azienda di distribuzione opera come scelta strategica quella di proporre sugli scaffali il proprio marchio.

space valley private labels
Spopolano sul web video di intrattenimento, in cui si confrontano prodotti della marca principale con le proposte dei private labels dei vari distributori. Fonte: Copertina Video del video del canale YouTube Space Valley.

Cos’è il Private Label?

Nel 1979, William Morris ha definito così la marca privata:

“I prodotti di private label si identificano come la serie di prodotti di consumo realizzati da (o per conto di) imprese commerciali e venduti con la denominazione oppure con un marchio della stessa impresa, all’interno dei suoi punti vendita.” – Morris, 1979, pp.59-78.

Essenzialmente, il prodotto PL nasce da una vera e propria partnership fra due attori:

  • Il distributore, che decide di ampliare la propria offerta tramite diversi brand propri MDD (marca del distributore), che si adattano alle esigenze dai clienti;
  • Il copacker, elemento ora definito come MDD partner: si tratta non più solamente di una azienda di produzione che si dedica alla realizzazione del prodotto in accordo col distributore, ma di un fornitore che cura l’articolo dalla scelta delle materie prime fino al packaging. Questo servizio alle volte può anche essere offerto dalle aziende di marca, attirate dalla possibilità di vedere aumentati i propri volumi di vendita.

La collaborazione, come evidenziato dal Position Paper e dal XVII Rapporto Marca dell’edizione 2020 di MarcaByBolognaFiere, si fonda su obiettivi comuni, riguardanti la valorizzazione del prodotto locale, la qualità e i vantaggi del consumatore.

Nascita, sviluppo ed evoluzione

Il primo prodotto a marchio italiano è di paternità di Coop, che nel 1896 propose sul mercato un panettone dell’Unione cooperativa di Milano, forte del fatto che le vendite del dolce erano consolidate da tempo e che ormai la fedeltà del consumatore si legava al venditore e non più al produttore.

Originariamente venivano chiamati prodotti white label, a richiamo della basica etichetta bianca pronta per essere personalizzata col nome del prodotto, anche se con opzioni poco varie e decisamente non funzionali ad una strategia di marketing. La qualità non era ancora un obiettivo, tutto si fondava sulla convenienza di prezzo.

white label prodotti a marchio
Fonte: Become.co. White label products.

Successivamente, complice anche il secondo boom economico degli anni Ottanta, si è manifestata la necessità di collegare un valore ai prodotti dall’etichetta bianca, e la strategia più antica di tutte si fece strada: l’imitazione. Come i bambini imitano gli adulti nella vita di tutti i giorni, per imparare a giostrarsi nelle situazioni quotidiane, così i cosiddetti copycat products, ripropongono le caratteristiche distintive e percettive del marchio leader per navigare nel mercato e individuare quali sono le strategie che funzionano e quali vanno invece evitate.

Dagli anni Novanta ad oggi il consumatore è diventato il primo driver delle innovazioni di prodotto, la centralità del cliente è ora il nucleo fondamentale del marketing e delle decisioni strategiche: il Private Label nel 2021 non vuole essere imitazione economica, ma un’offerta parallela e complementare, che conferisce valore.

Settori diversi, brand diversi

Nella GDO la marca commerciale viene proposta come alternativa conveniente alle firme industriali, in modo da costruire al contempo un’immagine di elevato profilo. Infatti, esistono diversi settori in cui sviluppare un proprio marchio, e diverse tipologie di brand propri da costruire, a seconda degli obiettivi strategici e funzionali del distributore:

tipologie private labels marche commerciali
Fonte: Elaborazione del team di smarTalks.

Nella scelta dei prodotti spiccano quelli di fascia alta, dei comparti premium, ma anche le linee bio e green, che attraverso mirate politiche capillari di marketing e branding possono contribuire alla crescita della reputazione ma anche al cambio di posizionamento di una catena di distributori.

Si pensi a tal proposito al caso di Eurospin, che attraverso linee dedicate ad esigenze quali: senza glutine, senza lattosio, bio, cura degli animali, si è presentato sul mercato come un competitor fornito e aggiornato, attento ai diversi bisogni dei consumatori.

Il processo: come si arriva al prodotto sullo scaffale?

Come evidenziato nei paragrafi precedenti, si potrebbe pensare che la strada che porta alla creazione di una marca commerciale sia molto semplice e quasi banale, dopotutto si tratta solo di un prodotto che già esiste, copiato.

Ovviamente no, infatti ogni attività di un’azienda, in questo caso di distribuzione, studia e pianifica le proprie attività in relazione alle conseguenze correlate, e mai nulla è lasciato al caso. Dopotutto, nessuno di noi lancerebbe un nuovo prodotto, o una nuova linea, se questo fosse infruttuoso per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, o peggio si rivelasse un flop controproducente.

Ecco perché il processo che precede la distribuzione di un prodotto di marca privata è molto importante, ed è costituito da una serie di passi sequenziali che gradualmente aggiungono valore al prodotto:

processo realizzazione produzione private label
Il processo del Private Label. Schema elaborato dal team smarTalks.
  1. Briefing del progetto:
    a. Valutazione delle esigenze di marketing. Poniamo l’esempio di una catena di supermercati Alfa: essa ritiene che i propri consumatori siano fortemente attratti dai prodotti biologici e senza glutine dei vari marchi che vengono proposti nei punti vendita del territorio. Trattandosi di prodotti di cui già si conoscono il gradimento e la frequenza di acquisto, si può desumere che un ampliamento dell’offerta potrà essere recepito positivamente. Infatti, l’obiettivo principale delle strategie di Private Label non è quello di sostituire i brand leader del mercato, ma di completare l’assortimento con prodotti portatori di qualità e convenienza allo stesso momento, fidelizzando il cliente.
    b. Definizione delle caratteristiche del prodotto
    . Qui risiede la differenza fra prodotti di Private Label e prodotti copycat: il distributore deciderà gli ingredienti e la ricetta, i colori, gli aromi, la consistenza e tutti i particolari che denotano il prodotto, creando così un mix personalizzato di vari elementi. Dunque, nonostante lo stabilimento usi le stesse materie prime per prodotti leader (ad esempio la Nutella) e prodotti PL (crema spalmabile alla nocciola marchio X), i due non si equivalgono;
  2. Ricerca e sviluppo: sopratutto tramite le linee dedicate (bio, green, vegan, senza lattosio, ecc.) negli ultimi anni si è assistito a delle vere proprie innovazioni di prodotto portate avanti proprio da brand privati dei distributori. Infatti, molte volte le richieste del committente portano la MDD partner ad operare varie prove e modifiche del mix produttivo per arrivare al risultato richiesto, arrivando spesso a soluzioni nuove ed innovative;
  3. Prototipo: il copacker realizzerà, basandosi sull’accordo raggiunto, un prodotto comprensivo di packaging, da far esaminare successivamente. A differenza dei primi anni di vita del Private Label, in cui l’imballaggio esterno non aveva alcuna importanza (da cui appunto deriva la definizione White label), attualmente esiste un vero e proprio reparto dedicato al packaging dei prodotti di marca privata dei diversi canali distributivi, che comunica con il fornitore le proprie esigenze, giungendo ad un accordo comune che tenga conto delle disponibilità e richieste di entrambe le parti. Questo chiaramente scaturisce dal fatto che a livello visivo, la scatola o il contenitore di un prodotto sia per il cliente veicolo di informazione dei valori che il brand vuole comunicare;
  4. Valutazione: tramite la ricerca e sviluppo verranno proposti diversi prodotti finali, e il richiedente valuterà e sceglierà quale ritiene ottimale sulla base di costi (e dunque successivi prezzi), qualità e attinenza alle caratteristiche indicate nel briefing;
  5. Produzione e consegna: successivamente all’approvazione del prototipo individuato come migliore, il fornitore procederà alla produzione del prodotto, creazione dell’imballaggio, e non resterà altro che effettuare la consegna presso il distributore che si occuperà della commercializzazione di quanto realizzato.

Perché puntare sul PL: i numeri

Ormai nel settore alimentare il consumatore spesso di trova a scegliere e preferire nei punti vendita prodotti di marca insegna, oppure addirittura a vederli segnalati come alimenti suggeriti in piani alimentari personalizzati, probabilmente grazie ai valori nutrizionali e alla qualità delle materie prime.

quota di mercato del private label
La quota di mercato della marca privata negli anni. Fonte: pharmacyscanner.it.

Si prevede infatti che la quota di mercato del Private Label avrà entro il 2025 un aumento, arrivando circa a quota 24%, rispetto al 20% del 2020. Il valore delle vendite di questo settore ha raggiunto un picco di 18,8 miliardi di euro nel 2020, arrivando a un risparmio complessivo per le famiglie di circa 2 milioni di euro, ed il dato è destinato a crescere.

fatturato del private label
Il fatturato del Private Label. Fonte: pharmacyscanner.it.

Alla luce di questi dati, non appare inverosimile puntare sulla marca privata per incrementare le vendite ed il guadagno, ed allo stesso tempo comunicare e rafforzare i valori del proprio brand. Ed è ciò che sta accadendo nella GDO, in cui il fatturato totale è composto per un 20-25% dalla marca commerciale.

Per quanto riguarda l’Italia in senso stretto, una delle percentuali più importanti riguarda le PMI: coprono l’85% di tutte le industrie MDD partner di questa filiera, ed il 92% di queste sono italiane. I fornitori saranno quindi parte del processo del PL, avendo così la possibilità di accedere a canali di distribuzione nuovi ad un costo ridotto, potendo commercializzare i prodotti in maniera efficace, sfruttando ad esempio i canali online dei distributori.

Il Private Label nei settori

Automotive: NAPA

La NAPA è nata come associazione, con l’obiettivo di fornire ricambi per auto di noti marchi, col supporto dell’assistenza al cliente. Successivamente il marchio Napa venne lanciato sul mercato, così i punti vendita vennero portati a distribuire solo la propria insegna, che oggi è spesso considerata dagli automobilisti statunitensi un livello superiore rispetto ai più noti brand. Sulla scia del successo dei suoi prodotti, sono stati aperti gli autocare: delle officine e carrozzerie attrezzate esclusivamente con prodotti NAPA. Il brand conseguentemente alla sua rapidissima crescita è recentemente sbarcato in UK, e l’Europa sembra la prossima meta.

NAPA automotive
Fonte: napaautoparts.eu

Nella moda

Per quanto riguarda il settore dell’abbigliamento e degli accessori, si può confermare la comunissima frase «si paga solo la marca». Un prodotto indifferenziato,si pensi ad una banale t-shirt bianca, o delle linee di prodotto, vengono brandizzati dopo essere stati reperiti tramite un fornitore. Il valore del prodotto finito dunque è strettamente legato a tutto ciò che deriva dal marchio: l’eredità storica che porta, per esempio Chanel o Hermès, i valori che vuole trasmettere: rarità, esclusività, artigianalità e molto altro.

Attraverso strategie di business come le reti di distribuzione, la community o il marketing di un qualunque brand è in grado di conferire valore ad una commodity – ovvero un prodotto indifferenziato di consumo generico -. Questo è possibile quando il brand si è già precedentemente affermato, ed il prodotto PL è presentato come solo complementare ai prodotti core, ma comunque coerente con i valori e gli elementi differenzianti del marchio principale.

private label fashion esempio
Progetto speciale di una capsule di capispalla. Fonte: pespow.com.

Il Made in Italy conquista l’Oriente

La GDO cinese è in rapida e forte crescita, e i fornitori italiani sono stati messi sul trampolino di lancio in tal senso: dal 16 al 18 settembre 2021 si è svolto per la prima volta Marca China, un nuovo progetto di BolognaFiere. L’obiettivo della internazionalizzazione del settore food italiano concilia perfettamente con le esigenze degli attenti consumatori orientali, che prediligono il settore biologico (con un incremento delle vendite del 35% negli ultimi anni), la qualità e la sicurezza dei prodotti del settore alimentare.

Lo sviluppo di nuovi canali di business comprenderà anche settori come la cura della persona, della casa, prodotti per animali e per il tempo libero. Una ventata d’aria fresca post pandemia, che sicuramente aveva avuto una tendenza opposta nei confronti della Cina.

“Con la prima edizione di Marca China portiamo un altro nostro asset, che nasce dall’esperienza di MARCAbyBolognaFiere, in Asia, consolidando ulteriormente la leadership sui mercati internazionali e il nostro ruolo di partner per le imprese interessate a espandere i business verso i mercati emergenti […].” – Antonio Bruzzone, Direttore Generale di BolognaFiere.

Evento Marca China di settembre 2021. Fonte: marca.bolognafiere.it.

In conclusione, possiamo ora smentire il fatto che la marca del distributore rappresenti una maldestra imitazione dei leader del settore, ma anzi rappresenta una possibilità ed opportunità di innovazione per quanto riguarda la qualità, la sostenibilità e il packaging dei prodotti, in un’ottica di espansione territoriale dei prodotti Made in Italy.

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