Esiste una definizione piuttosto precisa per descrivere quelle strategie di marketing adottate da alcuni brand per promuovere prodotti o servizi, focalizzando l’attenzione dell’utente e consumatore finale, non tanto sull’oggetto stesso, quanto sui valori che trasmette, o almeno intende fare.
Il woke washing
Parliamo di woke washing: quella tecnica che prevede la creazione di campagne pubblicitarie che utilizzano tematiche di giustizia, etica, ambiente, uguaglianza, sfruttando la popolarità che deriva dal trattare argomenti simili. In questi casi, in pratica, le aziende si “travestono” da promotori di cause sociali, come forte presa di posizione nei confronti di importanti aspetti della nostra quotidianità.
L’obiettivo? Arrivare più facilmente a precise fasce di target, consumatori che si dimostrano particolarmente attivi e sensibili su tali tematiche e che tenderanno quindi a preferire brand che sposano in pieno il loro pensiero e stile di vita.
Il problema? Capita che aziende e società che decidono di adottare questa filosofia pubblicitaria si trovino poi a fare i conti con la realtà, ben lontana, in linea di principio, da quei valori di cui si fanno portavoce.
Nel tempo il woke washing ha assunto varie accezioni, differenti l’una dall’altra per la tematica affrontata: ecco quindi che è nato il greenwashing, incentrato sul rispetto dell’ambiente, in piena ottica di sostenibilità; il bluewashing, che prevede l’alleanza da parte di alcune società con varie agenzie delle Nazioni Unite per presentarsi come conformi, anche se in realtà non lo sono, ai dieci principi del Global Compact.
Ricordiamo anche il purplewashing, termine che si riferisce a quella varietà di strategie politiche e di marketing attuate nel contesto femminista, per promuovere un discorso di uguaglianza di genere in istituzioni, paesi, prodotti o aziende; si può anche definire come una specifica sfumatura del cosiddetto pinkwashing, che invece descrive le iniziative portate avanti da alcuni brand per sostenere, apparentemente, la lotta contro il cancro al seno.
In qualunque gradazione cromatica il fenomeno venga definito, si tratta comunque di una strategia sociale di copertura, finalizzata a soli scopi economici.
È il caso che coinvolge quelle aziende accusate di attuare strategie rainbow washing, ramo del pinkwashing con particolare focus su temi riguardanti la comunità LGBTQ+, proponendo una politica comunicativa inclusiva che sfrutti forme pubblicitarie precise come l’uso di forme, colori e simboli tipici del Pride World.
Il percorso di inclusione delle diversità del Gruppo Barilla
Nel 2013 il Presidente dell’omonima azienda, Guido Barilla dichiarava:
“Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale”.
Con il passare degli anni il Gruppo ha avviato un vero e proprio percorso all’insegna dell’inclusione e del rispetto dei diritti di genere, tanto da vantare oggi nell’organico la figura del Chief Diversity Officer. Il cambiamento di prospettiva è stato evidente, tanto che nel 2018 Barilla, in collaborazione con l’illustratrice e designer Olimpia Zagnoli ha rilasciato dei packaging speciali, un omaggio alla tolleranza e al rispetto per le differenze dell’orientamento sessuale.
A seguito dello scandalo e delle conseguenti polemiche arrivate dai consumatori, il Gruppo Barilla si è impegnato nel cambiare la propria policy in favore di “diversità, inclusione e uguaglianza”.
All’interno dell’azienda è stato infatti istitutito il Diversity & Inclusion Board, per migliorare con azioni concrete la cultura aziendale, tanto da meritare il punteggio massimo da parte della Human Right Campaign. Questa associazione da oltre 30 anni si batte per i diritti della comunità LGBTQ+ e ogni anno pubblica il Corporate Equality Index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali in questo campo.
Se tingersi di arcobaleno significa davvero qualcosa
Come abbiamo visto, molte campagne pubblicitarie attuate dai brand, in particolar modo durante il mese del Pride, non rispecchiano le reali politiche aziendali, ma si dimostrano solamente gesti privi di valenza etica e finalizzati all’apparente aumento della brand awarness. I loghi, i prodotti best sellers si tingono di color arcobaleno e vengono lanciate delle limited edition per l’occasione: azioni fini a loro stesse, la cui conseguenza è il puro arricchimento dell’azienda.
Non tutte le iniziative vengono etichettate come rainbow washing e infatti ottimi esempi arrivano dal mondo dei beauty brand, come la collezione di Sephora, We Love Pride, i cui proventi sono stati devoluti ad associazioni impegnate nella difesa dei diritti della comunità LGBTQ+.
Anche in Revolution, noto brand di make up, l’impegno è rivolto alla lotta per l’uguaglianza, la diversità e l’inclusività e in occasione del Pride 2019, l’azienda ha devoluto una cospicua cifra ad associazioni che si battono per la comunità LGBTQ+.
Le policy aziendali fanno cadere i finti arcobaleni
La soluzione attendibile per poter smascherare tutte quelle aziende che si meritano di ricevere l’etichetta rainbow washing è quella i controllare le politiche aziendali.
A tal proposito, da più di tre decenni, Starbucks si sta impegnando nel costruire una cultura aziendale in cui tutti siano i benvenuti. Da ben dieci anni infatti la società riceve un punteggio del 100% nell’ Human Rights Campaign Corporate Equality Index, avendo anche stretto una solida collaborazione con la pop star Lady Gaga e la sua Born This Way Foundation.
Il caso delle imprese australiane: dal rainbow washing ai GAYTM
Il sostegno delle imprese australiane per i diritti LBGTQ+ si è evoluto in modo significativo negli ultimi anni e oggi ha definitivamente superato il cosiddetto rainbow washing, diventando parte integrante della responsabilità sociale aziendale.
ANZ Bank – Australia and New Zealand Banking Group Limited – una delle più grandi istituzioni finanziarie australiane, per celebrare il Sydney Gay and Lesbian Mardi Gras, ha fatto ricoprire i bancomat sparsi nelle sue filiali per la città con strass, paillettes e pelle: una forte presa di posizione nei confronti di diversità, inclusione e uguaglianza sul posto di lavoro.
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Un futuro arcobaleno
Seppur temi molto importanti come il rispetto delle minoranze, la sostenibilità, la parità dei diritti siano all’ordine del giorno e continuamente discussi, esistono, come abbiamo visto, casi in cui società e grandi e piccole aziende tentano di farsi pubblicità cavalcando l’onda di questi temi caldi.
Al tempo stesso, è anche vero che il consumatore di oggi è un individuo attivo, che si documenta, attento alle policy aziendali e al rispetto di esse e non sono infatti mancati i casi in cui aziende, come Barilla, a seguito di proteste e movimenti “boicott” abbiano invertito di netto la propria rotta, dirigendosi verso orizzonti davvero “arcobaleno”.